Titolo: Memento Vivere
Data: 20 agosto – 10 settembre
Presso: Galleria Ponzetta, Pietrasanta (LU)
Testo: Valentina Lucarini Orejon
Per lungo tempo l’uomo ha vissuto a stretto contatto con la morte.
A partire dall’antichità, si pensava che il ritorno alla terra, dopo la vita, fosse un momento catartico, da accompagnarsi con dei rituali di sacrificio (dal latino sacrificium: rendere sacro), così da scongiurare il manto di oscurità e oblio che caratterizzano questo nostro comune destino.
Alcuni esempi ne sono le culture mesoamericane dei Maya e degli Atzechi, assimilate poi all’odierna cultura Messicana, oppure la cultura funeraria egizia o ancora quella a noi più vicina appartenente agli etruschi.
Nella società occidentale la morte appare come epurata, dissolta, occultata ma al tempo stesso mercificata a dovere sui social network, che mettono al primo posto parole e valori come progresso, efficienza e capitale, escludendo così i concetti di fragilità, debolezza e vecchiaia, poiché meno attraenti e funzionali. La morte diventa così un mero oggetto di consumo della nostra odierna collettività capitalizzata, ascrivibile alla cronaca nera, ai titoli ridondanti e alle guerre ideologiche.
Da questo occultamento della morte è probabile e possibile che a nascere, crescere e a stratificarsi sia una non vita; un non luogo sospeso, dove l’uomo non percepisce le pulsioni vitali e primarie e tende così a ripiegarsi su se stesso.
Il memento mori o vànitas, proviene dalla locuzione latina nata in seno alla civiltà dell’antica Roma, ed era atta a ricordare di tenere lo sguardo sul nostro presente, di godere della vita mettendo da parte la superbia, ed è proprio attraverso questo messaggio che l’uomo ritorna ad accorgersi della propria finitezza.
Per vivere pienamente, infatti, è necessario l’atto dell’accorgersi; questo termine rende infinitamente bene lo stupore e l’orrore tipici di un risveglio all’unisono di mente, cuore e anima, risveglio che ci rammenta che la condizione effimera dell’esistenza - apparentemente dovuta alla caducità della materia di cui siamo composti - non può niente contro la forza oscura e incorporea delle nostre anime.
Trasformare il memento mori in un atto di arte collettiva è l’intento di questa performance, atto che si compie attraverso la sinergia tra due individui la cui gestualità sincrona si risolve in una narrazione disegnata, fatta di segni che andranno a ricoprire un teschio umano, rappresentazione simbolica di una sorte comune.
Il disegno faccia a faccia, ripreso da un gioco che da piccola facevo con mia sorella, diventa il gesto rituale con cui riappropriarsi di una nuova narrazione della morte e di conseguenza della vita.
Da sempre ho frequentato il mondo della bottega dove ho imparato i segreti dell’antico metodo di fusione a cera persa. Tale eredità, la si può si può scorgere nei materiali che utilizzo per creare le mie opere; materiali usati solitamente per il processo di fusione, vengono decontestualizzati ed estrapolati dal loro linguaggio artigianale originario.
Sovvertire le carte di questo antico procedimento - celebrando un’estetica processuale intessuta da caratteristiche filosofiche e antropologiche - mi permette di decifrare e riscoprire i valori del “Ricordo” e della “Spiritualità”, valori connessi inesorabilmente alla fragilità umana, presente nelle “cose umane” e negli oggetti, che diventano giacenze di memorie del passato.
I materiali delegati alla rappresentazione scultorea universale divengono mio personale strumento di indagine sugli ex-voto, sulle reliquie e sulle icone moderne come manifestazioni dell’estetica contemporanea. Oggetti solitamente sfruttati, presto dimenticati e gettati, divengono soggetti e cambiano aspetto, permettendo allo spettatore di assistere a questa trasformazione funzionale: la cera che modellata da medium diviene il fine, le terre refrattarie che fungono da scenografia: tutto cambia apparentemente fisionomia, destinazione e ci rammenta attraverso questo cambiamento, la caducità della vita e quella sottile bellezza insita nelle trame della elementi e delle forme.
LA FORMA DELLA MEMORIA COME CONCERTO E COMPRESSIONE DI FORME
Così vengono chiamate nel gergo della bottega: “forme di fusione”, ovvero quei bozzoli irregolari che contengono le terre refrattarie e al loro interno ancora, la cavità che prima della cottura conteneva la cera, ora disciolta, bruciata ed evaporata. Una segreta intercapedine pronta ad accogliere un fiotto di metallo fuso, un vuoto pronto a riempirsi e a prendere la forma dell’Idea. Finito il processo, le forme vengono aperte, e le fasce in iuta e gesso che le contenevano, relegate a rifiuto.
Ho accumulato, catalogato e scelto, quelli che chiamo volgarmente cilindri.
Vederli lì, ammassati gli uni sugli altri, vuoti come i gusci delle cicale, ha suscitato in me un moto di infinita tenerezza. E la tenerezza per le cose precarie è la peggiore delle malinconie.
I cilindri ora erano naufraghi, dispersi e dimenticati, ora spoglie umane mute e dolenti, ora antiche pergamene ritrovate dopo millenni di attesa: dei totem del ricordo.
La perdita della memoria equivale alla perdita dell’identità e questo è un viaggio in un tempo immaginato, dove i cilindri sono le mie pagine bianche e io sono il medium di memorie disperse. Dopo mesi di fitta nebbia riesco a vedere come una mistica, rievocando attraverso il disegno reliquie di immagini lontane, ammassate sotto gli strati della memoria.
Quasi una rievocazione, un rituale ancestrale attraverso il quale riconosco, annoto e mi faccio da tramite, fino a farne comparire i segni: sono volti dagli occhi socchiusi o dagli sguardi inquisitori, corone di mirto, panneggi abbandonati, animali silvani e sfuggenti, oggetti in disuso, incubi.
Tutti quanti trovano posto in una vasta composizione in una grande installazione perpetua e sempiterna, come il tempo che la crea.
Ogni giorno che viviamo su questa terra, infatti, produciamo istantanei ricordi che vanno a depositarsi in una stratificazione continua e incessante a cui noi continuamente attingiamo per poter seguitare a vivere. Ogni ricordo è impregnato di interferenze, fatte di racconti e di immagini create dalla coscienza, ma anche da ombre di cui non conosciamo né la forma né la provenienza.
L’inquietudine dell’animo umano si nutre di rimembranze sopite, che riaffiorano spontaneamente, come piccole Epifanie.
Anche la natura di cui facciamo parte, gli animali e i vegetali, posseggono tali peculiarità? Questo non è certo, ma è possibile che la natura comunichi il suo tempo vissuto attraverso i nostri occhi e le nostre azioni, e si manifesti attraverso percezioni sensoriali e mnemoniche?
Così, mi metto in diretta osservazione di me come fenomeno, come particella di questa natura immanente che tutto contiene, e riscopro gesti già usati, immagini già viste, sensazioni già provate e tramandate da secoli da essere umano in essere umano.
E mentre passeggio in mezzo ai miei cilindri, eretti come edifici del tempo che fu o come tronchi di sequoie in una foresta, mi rendo conto che i ricordi del mondo, anche quelli di vite che non sono la mia, fanno parte di una memoria collettiva e complessa, si affastellano gli uni sugli altri creando cumuli, blocchi e strati di materia, rimembrandoci che siamo una piccola parte del tutto.
THE SHAPE OF MEMORY AS A SYMPOSIUM AND CONDENSATION OF SHAPES
‘Casts’ (casting shapes, forme di fusione) is the name we give to those irregularly shaped containers that contain a shell of refractories, hiding the empty cavity that hosted wax that melted and evaporated away. An hidden nook comfortingly welcoming a rush of molten metal, a void giving shape to an Idea. Once that work is done, the casts are opened and then their envelopes are discarded and thrown away. I collected, categorised and carefully picked what are commonly called ‘cylinders’. I could not help but to feel an overwhelming pity toward those empty cicada shells, carelessly piled up one upon one another. Feeling pity toward impermanent things is the worst kind of melancholy. Those cylinders were thus so lost, forgotten castaways, sorrowful human remains at times, ancient parchments at other times, like mnemonic totems.
Loss of memories equates to loss of identity. We are travelling through an imaginary time where these cylinders become blank pages for me to bind memories onto them. Like finding a way out through months of thick fog, I get a mystic vision that allows me to draw far gone relics of lost images, deeply concealed under piles of memories. Almost like it was an ancestral evocation ritual, I recognise, take notice, and then become the medium myself, bringing out signs: half-open eyes on inquisitive faces, myrtle crowns, lost draperies, woodland creatures, obsolete tools, nightmares. Each thing finds its place among a permanent, perpetual humongous art installation that pays tribute to time itself, its creator. Each day we live on Earth produces instantaneous memories incessantly stratifying onto one another, becoming the source of life itself for any of us. Each memory permeated by interfering stories and consciousnesses, other than shadows of the unknown. The human soul is restless and feeds itself on slumbering memories, resurfacing spontaneously like brief epiphanies. Is nature itself, every living creature, made this way? We cannot be sure of that, but it is possible that nature is able to reveal the flow of time through our lives and manifest itself through memory and senses. Thus, I shall mindfully observe myself at a distance, as a natural phenomenon that happens in universal immanence, recovering past gestures, images, feelings that humans have time and time again left in heritage for posterity. And as I stroll around my cylinders that remind me of ancient buildings and oak trees in a forest, I realise that all memories are shared, in the whole world, between lives other than mine; an intricate collective of encrusted blocks of complexities and disparate materials, to remind us how each of us is but a tiny part of the whole.
General concept of the research:
Since my earliest memories I would be poking around and be curious about the family’s artisanal workshop and the world pertaining to it, and thanks to these experiences I learnt all about the ancient art of lost-wax casting and its secrets. It came to be my heirloom and one could say that that is apparent in the care I take when choosing the best materials to forge my artworks; these, usually relegated to be used as casting tools, are being taken out of their context and deconstructed from their original artisanal semantics. Subverting the rules and bringing innovation to this ancient process - while at the same time celebrating its philosophical and anthropological roots - allows me to decipher and bring to new life the values of Memory and Spirituality, which are intrinsically bound to the human condition and its fragility; an impermanence that permeates anything Human and any artwork, crystallizing memories of the past. Materials universally appointed as means of sculptural imaging, are forged into my own tools to examine votives, reliquaries and modern icons to represent contemporary aesthetics. Items which are usually exploited, soon to be discarded and forgotten, are transformed into new objects and brought to focus on the foreground, letting anyone enjoy the evolution of their function. Wax becomes an end in itself. Refractories give life to background sceneries. Each item is assigned a new role and a new visage to let us remind ourselves about the fragility of life and the fine beauty intrinsically intertwined between form and textures.
"Static composition in motion", installazione performance site-specific per Palazzo Naiadi, Roma
2019
Quest'opera, dal titolo emblematico, ripercorre quelle che sono le fasi e i passaggi stessi della fusione a cera persa, attraverso l'utilizzo dei materiali che prendono parte al processo stesso, senza però farne parte fino in fondo, all'interno dell'opera finale; i cilindri, che in laboratorio vengono infatti utilizzati come contenimento della forma di fusione durante il colaggio del bronzo fuso, per contrastarne la spinta, divengono candide colonne, erette le une accanto alle altre, talvolta decorate da graffiti che quasi ne sottolineano un fine ultimo, lontano dal loro solito utilizzo, un fine più effimero, leggero, totemico.
L'installazione, si trasforma in una piccola wunderkammer personale, realizzata con l'aggiunta di opere in bronzo, marmo, gesso, rame e legno, con vasi di recupero e la radice scavata e sabbiata di un limone; oggetti reinterpretati e trasformati a loro volta in sculture, vanno a completare quella ricerca processuale, di accumulazione, catalogazione che è tipica del mio modo di percepire la realtà.
Hypnosis
Installazione site-specific presso "La Fustaia" (La Spezia)
Io Reliquia, Io reliquiario
video
2018
Quel che più mi ammalia: una scatola su di un tavolo,
un piccolo cassetto
una tenda che mal cela un ambiente fecondo.
Quel che più mi muove: la voglia di aprire,
di "trovare",
vedere ciò che è nascosto.
La curiosità morbosa.
Un reliquiario sospeso, ha la forma
di chi è stato uomo prima
Lucente, che ti attrae
anche se non vorresti.
Uno scrigno dorato, fatto per aprirsi infinite
volte.
Infinite sono le volte
in cui ti trovi a richiuderlo.
Emerge distorta un'immagine vacua
(sono Io?)
Rimane dentro, per sempre imprigionata.
Io, reliquia. io reliquiario.
V.L.O.